Anno della Fede
SANTA MESSA PER L'APERTURA DEL SINODO DEI VESCOVI E PROCLAMAZIONE A "DOTTORE DELLA CHIESA" DI SAN GIOVANNI D'AVILA E DI SANTA ILDEGARDA DI BINGEN
Piazza San Pietro
Domenica, 7 ottobre 2012
Venerati Fratelli,
cari fratelli e sorelle!
Con questa solenne concelebrazione inauguriamo la XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha per tema: La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Questa tematica risponde ad un orientamento programmatico per la vita della Chiesa, di tutti i suoi membri, delle famiglie, delle comunità, delle sue istituzioni. E tale prospettiva viene rafforzata dalla coincidenza con l’inizio dell’Anno della fede, che avverrà giovedì prossimo 11 ottobre, nel 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II. Rivolgo il mio cordiale e riconoscente benvenuto a voi, che siete venuti a formare questa Assemblea sinodale, in particolare al Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi e ai suoi collaboratori. Estendo il mio saluto ai Delegati fraterni delle altre Chiese e Comunità Ecclesiali e a tutti i presenti, invitandoli ad accompagnare nella preghiera quotidiana i lavori che svolgeremo nelle prossime tre settimane.
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11 OTTOBRE 2012
50º ANNIVERSARIO DI APERTURA
DEL CONCILIO ECUMENICO VATICANO II
Omelia del Vescovo Roberto Busti
Il brano ascoltato, assieme a quello del Padre Buono e del Buon Samaritano, è uno dei tre nei quali compare la sequenza vedere-muoversi a compassione: parole che segnano il cammino della nostra Chiesa mantovana in quest’anno pastorale.
C’è una grande folla assieme a Gesù e ai suoi discepoli. A questa gente Gesù ha da poco terminato di tracciare la strada di vita nuova il discorso delle “beatitudini”; ha guarito poi, da lontano, il servo del centurione che aveva una fede così grande, mai riscontrata da Gesù in Israele.
Ma c’è pure molta altra gente a incrociare in silenzio la folla festosa attorno a Gesù, costretta ad ammutolire: è un corteo funebre straordinariamente dolente, perché c’è un giovane morto, figlio unico di una madre già vedova. Non so se allora si usava alzare lamenti mentre si accompagnava un morto. Il vangelo non dice nulla: forse il dolore è così grande che il silenzio era l’unica vera partecipazione possibile.
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Basilica Vaticana
Domenica, 28 ottobre 2012
Venerati Fratelli,
illustri Signori e Signore,
cari fratelli e sorelle!
Il miracolo della guarigione del cieco Bartimeo ha una posizione rilevante nella struttura del Vangelo di Marco. E’ collocato infatti alla fine della sezione che viene chiamata «viaggio a Gerusalemme», cioè l’ultimo pellegrinaggio di Gesù alla Città santa, per la Pasqua in cui Egli sa che lo attendono la passione, la morte e la risurrezione. Per salire a Gerusalemme dalla valle del Giordano, Gesù passa da Gerico, e l’incontro con Bartimeo avviene all’uscita dalla città, «mentre – annota l’evangelista – Gesù partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla» (10,46), quella folla che, di lì a poco, acclamerà Gesù come Messia nel suo ingresso in Gerusalemme. Proprio lungo la strada stava seduto a mendicare Bartimeo, il cui nome significa «figlio di Timeo», come dice lo stesso evangelista. Tutto il Vangelo di Marco è un itinerario di fede, che si sviluppa gradualmente alla scuola di Gesù. I discepoli sono i primi attori di questo percorso di scoperta, ma vi sono anche altri personaggi che occupano un ruolo importante, e Bartimeo è uno di questi. La sua è l’ultima guarigione prodigiosa che Gesù compie prima della sua passione, e non a caso è quella di un cieco, una persona cioè i cui occhi hanno perso la luce. Sappiamo anche da altri testi che la condizione di cecità ha un significato pregnante nei Vangeli. Rappresenta l’uomo che ha bisogno della luce di Dio, la luce della fede, per conoscere veramente la realtà e camminare nella via della vita. Essenziale è riconoscersi ciechi, bisognosi di questa luce, altrimenti si rimane ciechi per sempre (cfr Gv 9,39-41).
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Per ridestare una fiamma
Il respiro della fiducia
Intervista al card. Angelo Bagnasco
a conclusione del Sinodo dei Vescovi
“Il punto non è venirne a capo, ma tenere desto il fuoco. Ascoltando quest’agorà delle genti mi sono accorto che passione per il Vangelo fino alla morte ce n’è molta”. Lo ha detto il card. Angelo Bagnasco, presidente della Cei, su Tv2000, intervistato da alcuni giornalisti dell’emittente dei cattolici e di Radio Inblu sul significato del Sinodo dei vescovi appena concluso.
Il tesoro tra le mani. “Gli eventi della Chiesa non vogliono ripetere un ritornello ma ridestare questa fiamma”, ha risposto spiegando la funzione del Sinodo, “perché l’amore bisogna rimotivarlo e accorgersi del tesoro che si ha in mano. Il dramma più grave, quando l’uomo vive una difficoltà, è sentirsi solo. Allora tutto pare insormontabile, si arrende e diventa passivo. È invece giusto sapere che, in qualunque momento, l’uomo incontra Cristo che lo precede”.
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